Finalità di questo Blog

Lo scopo di questo Blog "150° Unità d'Italia" è quello di raccogliere tutte le informazioni relative all'evento, e denunciare il tentativo di strumentalizzare la Storia ai fini anti italiani, così come denunciare l'impegno Istituzionale nel far passare questo importante traguardo il più inosservato possibile.

mercoledì 26 gennaio 2011

Epilogo programma 150° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia

Situazione politica ed istituzionale italiana
Epilogo programma 150° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia 

Volendo fare mensilmente il punto della situazione politica ed istituzionale italiana, occorre purtroppo rilevare che il primo mese di quest’anno, si caratterizza ancora per l’estrema litigiosità, il caos il gossip e una certa dose di ridicolo, che fanno di questa repubblica ormai, un esempio di malcostume e vergogna.
Provo immaginare che all’estero, un cittadino leggendo un giornale, possa imbattersi in notizie negative, ma anche in buone notizie, di quelle che ti fanno sentire orgoglioso di appartenere ad un comunità, ad una Nazione. In Italia, negli ultimi 25 - 30 anni, questo non può verificarsi in alcun modo, neppure per errore. Tutte le notizie sono funeste, tutte vergognose.


Non occorre perdere molto tempo, per leggere ogni sorta di insulto alla morale non solo della politica e delle istituzioni di questo Stato, ma anche alla morale degli stessi cittadini, che senza più esempi, annaspano sin dalla più giovane all’insegna del più lesto e del più furbo. Ad esempio, pur di apparire in Tv, vi sono ragazze disposte a professarsi prostitute, quasi fosse una buona e lodevole cosa. Rammento ciò che scriveva in proposito Oriana Fallaci (con molto anticipo) suscitando le ire del perbenismo ipocrita di corrotti e corruttori ! 

Sul piano prettamente “politico” il Presidente della Camera Fini, ha affermato che il Presidente del Consiglio Berlusconi dovrebbe dimettersi, mentre questi, che neppure pensa a questa eventualità, fa dichiarare dai suoi “centurioni” che a dimettersi dovrebbe essere Lui, il Presidente della Camera, che rappresenta un partito, il suo, e non più l’assemblea di Montecitorio.

Dalle opposizioni al governo una sola cosa chiara : la confusione !
Il Partito Democratico è alle prese con delle primarie comunali in cui, se tutto va bene i candidati “preferiti” dai cittadini sono tesserati per altre forze politiche e Di Pietro, che non ci ha ancora spiegato come sia riuscito in data 14 dicembre 2010 ad assicurare la maggioranza al governo Berlusconi, dopo che da anni ne sparla malissimo, si è fatto più confuso e farneticante che mai !

L’asse Casini - Rutelli - Fini, sembra parecchio dietro i numeri dell’unica forza politica che aumenta costantemente il suo consenso : l’astensionismo !

Paradossalmente, la vera opposizione al governo, che sarebbe più opportuno identificare in opposizione …a Berlusconi, sono gli uomini dello stesso polo di centro destra che lo appoggiano.
Formigoni in settimana, quando s’è lasciato sfuggire che occorrerebbe “una maggior etica personale” …voleva forse candidarsi alla successione di Silvio ? Proprio lui, che con la sua di etica non si è sentito colpevole di aver falsificato le firme per validare la sua lista alle ultime elezioni regionali ?
Fino a prova contraria, “le tette ed i culi” non inficiano a prescindere il significato della parola Democrazia. Le firme false si… fosse anche una soltanto !!!
Il Ministro Maroni, integerrimo e quotato quasi come Tremonti (sornione), ha dichiarato infatti che è tempo di smetterla con le tette ed i culi, …per Dio, questo non è un circo, è una repubblica !  …e si vede, hooo se si vede !
Certo l’anatomia spicciola non è un argomento adatto ad essere abbinato all’operato e alla figura del Presidente del Consiglio, tanto è vero che la Lega Nord, avendo ben compreso che il suo federalismo fiscale si infrangerà presto sullo scoglio dei “comuni”, già si sta preparando alla prossima tornata elettorale, disconoscendo sia l’operato personale e personalistico del Premier Silvio, sia trattando parallelamente con le sinistre pur di portare a casa il “trofeo minimo” da esibire all’irrequieto popolo delle osterie.

Dopo aver scritto della politica (?) però, desidero parlare di istituzioni, riconoscendo nel Presidente Napolitano. Un esempio di rara maestria evoluzionistica. C’è da dire che il nostro Presidente è facilitato nelle sue “acrobazie” da un popolo senza memoria che gli concede qualsiasi “ripensamento” e da una folta schiera di lacchè, che per un piatto di minestra, sanno far finta di non sapere, di non capire e di non esserci insomma, …loro sorreggono il cero è basta, senza pudore e vergogna alcuna.

Il Presidente “cerca di fare quanto nelle sue possibilità per evitare che le fratture italiane diventino voragini e sfrutta al meglio l’inaugurazione a Roma di un busto in memoria del premier cecoslovacco Alexander Dubcek, l’uomo che avviò la «primavera di Praga» e che contribuì prima di altri alla caduta del comunismo nell’Est Europa” scrive il giornalista Ugo Bonasi su Quotidiano.net.
Basterebbero queste poche parole a dimostrare lo stato comatoso di questo Paese, rappresentato dal voltafaccia di una persona che dopo aver militato tutta una vita da una “parte” oggi pretende di rappresentare tutti al di sopra delle parti stesse in spregio all’intelligenza nostra ed alla memoria di un Eroe, Dubcek schiacciato dai cingoli sovietici, da cui il nostro attuale Presidente traeva forza e peso in passato.
Ma c’è dell’altro. E’ stata anche la giornata dell’ufficializzazione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, perfezionate l’altro giorno al Quirinale con Berlusconi.
È stato deciso che il 17 marzo, data di proclamazione del Regno d’Italia, che questa repubblica ha declassato ad “Unità d’Italia” nascondendoci la verità, sarà festa nazionale ! Solo per quest’anno però.
Gianni Letta sottosegretario, riferendo che non si andrà a scuola ne al lavoro, ci avvisa  che Napolitano  quel giorno, farà un gesto di grande significato simbolico : dopo la visita all’Altare della Patria, si recherà al Pantheon per rendere omaggio alla tomba di Vittorio Emanuele II. Questo, dopo che negli anni, nulla ha fatto per favorire la tumulazione dei Sovrani ancora esiliati dalle istituzioni che rappresenta, e dopo che tutta “l’organizzazione” ha accuratamente evitato di invitare o coinvolgere gli attuali Principi di Casa Savoia nel programma di festeggiamenti nazionali !

Il “programmone” prevede infine che nella notte del 16 marzo, tutti i comuni che vorranno organizzare qualche cosa ad hoc, potranno farlo ! E ci mancherebbe fosse vietato…

Bonasi poi, conclude scrivendo che “Napolitano e Berlusconi (quello di cui sopra !) hanno già invitato i capi di Stato di tutti i Paesi europei, gli Usa, la Russia, oltre a quelli (Argentina, Brasile, Canada, Australia) che ospitano comunità italiane numerose a partecipare ad alcuni degli eventi organizzati. In particolare alla parata del 2 giugno a Roma. Sarà quella la vetrina internazionale delle celebrazioni (…)” !
E il gioco è fatto… la data del 17 marzo che ricorda troppo la Monarchia e Casa Savoia che l’Italia l’hanno messa assieme, sarà chiaramente disertata da costoro per la ristrettezza dei tempi “concessi dai protocolli organizzativi e di sicurezza” - meno di due mesi - ma potranno essere tutti presenti invece per la data del 2 giugno, in cui questa repubblica che l’Italia la sta dissolvendo, potrà autocelebrare la sua “gloria” !
A noi il gusto amaro, di aver previsto da questo Blog con 24 mesi di anticipo, questo triste epilogo. 
Vergogna !

Alberto Conterio - 24.01.2011
Commissario per il Piemonte di
Alleanza Monarchica - Stella e Corona

lunedì 24 gennaio 2011

Monarchici in rete: Il programma del circolo Rex

Monarchici in rete: Il programma del circolo Rex: "Sul sito dedicato a Re Umberto II è stato pubblicato il programma di conferenze del benemerito Circolo Rex incentrato sul150° anniversario ..."

domenica 23 gennaio 2011

Decadenza della repubblica

Decadenza della repubblica

22 gennaio 2011

Il 150esimo anniversario della proclamazione del Regno d'Italia (impropriamente considerato dell'Unità d'Italia) era l'occasione per riappacificare il Paese, rileggere la storia italiana senza farsi condizionare dalle ideologie del novecento, sentirsi nuovamente orgogliosi di essere italiani.

Ebbene si è fatto ben poco per andare in questa direzione, anzi si continua a strumentalizzare la storia, dare spazio a forze antirisorgimentali, compiere errori tra i quali spicca quello di dimenticare il fondamentale ruolo svolto da Casa Savoia per la realizzazione dell’Italia.

La Storia recente è sempre scritta dai vincitori, ma il tempo è galantuomo e comunque le strumentalizzazioni e le propagande messe in campo dai vincitori non possono stravolgere la Storia.


Per quanto riguarda la storia dell'Italia, la repubblica non riesce a darsi pace che l'Italia è stata realizzata dalla Monarchia.
Il primo capo di stato è stato Re Vittorio Emanuele II, il primo Tricolore è quello Sabaudo, dal 1861 fino al 1946 lo Stato italiano era il Regno d'Italia, durante il quale si completò l'Unità d'Italia.

Dalla nascita della repubblica incomincia la decadenza…

Ieri il governo, insieme al Comitato dei garanti per le celebrazioni, ha proclamato il 17 marzo festa nazionale ma solo per quest'anno.

Innanzitutto è curioso che ci sia una festa nazionale solo per un anno, ma perché?
La risposta è che questa data è il giorno della proclamazione del Regno d'Italia e quindi la repubblica ha voluto proclamare il 17 marzo festa nazionale solo per l'anno corrente per darle un valore minore rispetto alle altre.

Inoltre la repubblica ha proclamato questa nuova festa nazionale in ritardo (meno di 2 mesi dalla data) non a caso ma apposta per impedire che si possa organizzare in questa data (come si sarebbe dovuto fare, visto che la festa dei 150 anni dell'Unità nazionale cade appunto il 17 marzo) una grande cerimonia invitando capi di stati da altre nazioni.

Evidentemente la repubblica non può autoglorificarsi per il 17 marzo, che è la festa della proclamazione del Regno d'Italia, e quindi questo ritardo gli permette di spostare l'attenzione, soprattutto a livello internazionale, verso il 2 giugno (la sua festa), organizzando una sfarzosa cerimonia.

Insomma in quest’anno delle celebrazioni del 150 anni dell’Unità Nazionale, la repubblica non voleva dare l'esclusiva alla Monarchia e il ritardo gli permette di "pavoneggiarsi".

Al di là del giudizio che si può dare sulla Monarchia, e quindi anche sugli ultimi due Re d’Italia, questo anniversario era l’occasione giusta per accogliere il desiderio di tanti italiani di far rientrare in Italia le salme degli ultimi due re e delle loro consorti.

Era un gesto di pietà ma anche un gesto che rinsaldava la comune appartenenza alla nostra storia italiana.

Purtroppo troppi repubblicani (soprattutto quelli che sono al vertice dello stato e che appartengono alle caste dei politici-intellettuali-giornalisti) hanno mentalità chiuse e pregiudizi nei confronti della Monarchia.

Consapevoli che la repubblica riceve indifferenza dagli italiani e terrorizzati che l'ideale monarchico possa rafforzarsi in Italia, i “repubblicani trinariciuti” impediscono il rientro nel nostre Paese delle salme dei re e regine d'Italia.

Questo gesto invece permetterebbe di legare la Monarchia alla repubblica, un passaggio necessario per ritrovare l'identità nazionale, un valore assolutamente necessario per difendere il Paese in questo globalismo sfrenato.

La repubblica non è mai riuscita a crearsi una dignità tale da farsi rispettare dagli italiani, è una oligarchia che si nutre di ideologie (ormai superate) e scandali, un sistema corrotto che spinge il paese verso la decadenza.

L'Italia riesce ad essere un paese unito e vitale grazie ai valori che ci ha donato la Monarchia.

giovedì 20 gennaio 2011

Dal centralismo alla disgregazione di velluto

Dal centralismo (vizio d’origine) alla disgregazione di velluto

di Hic Rhodus (Gianfranco Pasquino)
Roma, 10 gennaio 2011

Detto autorevolmente dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che alle origini dell’unità d’Italia si trova un “vizio centralista”, diventa opportuno riflettere sulla critica. Non è il caso di imbastire un intenso dibattito fra gli storici, includendovi la loro ala marciante dei revisionisti. E non servirebbe a nulla farlo: né al molto eventuale “federalismo” né alla costruzione di una “memoria condivisa”. Con il dovuto rispetto per il Presidente, che storico non è, ma che rischia di diventare fin troppo revisionista, nel corso dell’unificazione italiana il supposto federalismo non esistette in nessun modo come opzione concretamente perseguibile. Nel migliore dei casi, Carlo Cattaneo, colui che viene considerato il federalista risorgimentale par excellence, pensava a qualche forma di protezione e di valorizzazione delle peculiarità locali. Non era realistico neanche per lui, a prescindere dai rapporti di forza, credere che esistessero comunità originarie, di dimensioni regionali o più ampie, che concordassero fra loro quali poteri, che spesso neppure avevano, consegnare ad un eventuale governo federale, e come farlo. No, l’opzione federale non avrebbe mai potuto diventare la “virtù d’origine” dello Stato monarchico italiano. Senza la monarchia dei Savoia, poi, non ci sarebbe stata nessuna unità d’Italia.


Semmai, gli autonomisti, allora e probabilmente anche oggi, avrebbero dovuto sottolineare l’importanza delle municipalità italiane. Comuni liberi e capaci di autogoverno, in alcuni casi già da molti secoli: questa è stata la vera peculiarità italiana, sostanzialmente eccezionale in Europa.Da quel che si capisce delle modalità complesse e irrisolte di cessione di poteri, funzioni e finanziamenti dallo Stato alle Regioni, ovvero, più propriamente, di decentramento e di devolution ai quali si dedicano i leghisti, della peculiarità dei Comuni, ma bisognerà vedere il decreto attuativo del federalismo municipale, si tiene poco conto. Molto male poiché le Regioni, nate quarant’anni fa all’insegna del motto (dei giuristi) di sinistra (rapidamente diventati consulenti delle Regioni e poi entrati in carriera politico-parlamentare) “le Regioni per la riforma dello Stato”, sono oggi soltanto entità grandi con notevole propensione all’accentramento di poteri e risorse a scapito dei loro Comuni. I federalisti coerenti dovrebbero oggi dimenticare le Regioni e guardare al di sotto e al disopra di quel livello di governo.
Al disotto stanno Comuni, spesso virtuosi, con un rapporto stretto e fecondo con i loro cittadini. Sono questi Comuni che meritano maggiore autonomia, almeno, semplicemente, sotto forma di non interferenza. Alcuni di loro potrebbero, come già sta scritto nella legge sulle autonomie locali, trasformarsi efficacemente in “città metropolitane”. Inoltre, tutti i Comuni dovrebbero essere i reali destinatari del sacrosanto principio di sussidiarietà oramai incastonato nelle modalità operative dell’Unione europea. È a livello dei Comuni che molti problemi, sociali, economici, amministrativi, troverebbero soluzioni più efficaci. Guardando al di sopra delle Regioni si troverà proprio l’Unione Europea. All’Ue hanno nel corso del tempo fatto riferimento e contribuito i non molti federalisti, di pensiero e di azione, italiani, fra i quali, credo che, oltre ad Altiero Spinelli, si possa annoverare lo stesso presidente della Repubblica. Invece, non sembra essere l’Europa il luogo del federalismo secondo i leghisti i quali, di conseguenza, dovrebbero, a questo punto, venire definiti “provincialisti” ovvero “federalisti che sbagliano”.
Eppure, se vogliamo costruire un’Italia migliore dobbiamo tenere in grande conto il federalismo europeo, che è il nostro futuro, e cercare di svolgere in quel contesto un’attività più incisiva. Qualche volta, infatti, le critiche alle propensioni accentratrici e burocratiche dei procedimenti europei sono assolutamente giustificate. Non sarà, però, un aumento del potere/dei poteri di alcune Regioni italiane a rendere migliore l’insieme di quel complesso ingranaggio di strutture e di funzioni che si chiama Stato. Anzi, lasciando da parte, ma non del tutto, i timori di una disgregazione lenta, di velluto, il rischio è che qualcuno pensi che, fatti i decreti attuativi, il resto della strada sarà tutto in discesa. Ma, verso dove conduce quella strada? Conduce incontro a due problemi che sembrano del tutto sottovalutati, se non addirittura trascurati: l’inefficienza e l’ipertrofia degli apparati burocratici e la voracità della partitocrazia.

Tratto da : www.ilvelino.it/

venerdì 14 gennaio 2011

Alla repubblica serve una Legge per sentirsi italiana...

Alla repubblica serve una Legge per sentirsi italiana…

Basilicata :
Approvato in commissione un Progetto di Legge per il recupero monumenti in vista del 150° Unità d’Italia

Potenza, 12 gennaio 2011

Si è riunita in mattinata la Commissione permanente Affari istituzionali del Consiglio regionale della Basilicata che ha approvato a maggioranza la proposta di legge su ''150 anni dell'Unità d'Italia: recupero e realizzazione di monumenti, cippi e lapidi'', presentata dai consiglieri Scaglione, Vita, Singetta, Navazio e Pici.

Il testo, che passa ora all'esame dell'Aula per la definitiva approvazione, consentirà alla Regione Basilicata di erogare contributi economici ai Comuni che si impegneranno nella realizzazione e nel recupero di opere commemorative dei caduti militari e civili nel processo di unificazione nazionale, al fine di tutelarne la memoria.


Approvata a maggioranza anche la proposta di legge costituzionale concernente il ''Riconoscimento dell'inno di Mameli quale inno ufficiale della Repubblica''.

Sull'argomento il presidente De Filippo, udito nel corso della seduta, ha sottolineato che ''se il Consiglio regionale approverà definitivamente la proposta, ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione una piccola Regione come la Basilicata potrà portare l'iniziativa all'attenzione del Parlamento e dare la spinta necessaria all'ufficializzazione definitiva di un simbolo importante per lo spirito dell'Unità che oggi non è disciplinato dalla legge''. Anche questo provvedimento verrà esaminato e approvato in via definitiva dal Consiglio regionale.

Nel corso della riunione il presidente della Giunta è stato udito, anche, in merito all'iter attuativo di un articolo della legge finanziaria 2010 che istituisce l'Unità interdipartimentale ''Film Commission''. Assicurando ''tempi brevi'' per l'attuazione del provvedimento da parte dell'esecutivo regionale, De Filippo ha sottolineato il suo riscontro positivo sulle osservazioni avanzate dalla commissione Affari istituzionali.

Tratto da : Agenzia (ASCA)


Osservazioni e commenti :

Infierire in questi casi è particolarmente brutto, in quanto sembra di avere a che fare con dei bambini…
Sicuramente l’iniziativa ha dei meriti non c’è dubbio, ma serve anche a fare delle riflessioni e a puntualizzare delle responsabilità precise :
Dalla notizia apprendiamo - ma già lo sapevamo - che “il canto degli italiani”, musicato da Michele Novaro, dopo “soli” 64 anni e 6 mesi circa, è l’inno della repubblica italiana in via provvisoria, e lo si vorrebbe ufficializzare una volta per tutte. Viene da ridere, …perché, mentre abbiamo trovato il tempo di demolire l’unità degli italiani e la dignità di una nazione, questa repubblica, non ha trovato il tempo di ufficializzare il suo inno dopo 60 di potere incontrastato !
Per carità, ci sono argomenti più importanti, e basta leggere le dichiarazioni di questi giorni rilasciate dal Presidente Napolitano sull’argomento “150°” per rendersi conto che “il canto degli italiani” è l’ultima delle preoccupazioni sue !

Tra le righe dell’Agenzia , si viene inoltre a comprendere, che il senso di appartenenza a questo Paese, ha bisogno di una “Legge dello Stato” che richiami le istituzioni o chi di dovere, a sentire l’orgoglio di ricordare e tenere dignitosamente in ordine, i monumenti, le targhe e quant’altro rappresentino la memoria dell’epopea gloriosa del Risorgimento, dal quale l’Italia e sorta a nazione e potenza internazionale solo 150 anni fa !
Per comprendere quanto ridicolo sia questo fatto e le cause che hanno portato la Commissione permanente Affari istituzionali del Consiglio regionale della Basilicata ad essere forse, l’apripista per un provvedimento parlamentare a livello nazionale, è sufficiente fare qualche chilometro oltre confine, per rintracciare un monumento similare straniero. Una volta trovato, non si farà la minima fatica a capire la distanza siderale che divide questa repubblica dal normale rispetto, che in ogni altra nazione civile viene religiosamente osservato nella cura di questi manufatti.

Anche nelle località più sperdute ed impervie un monumento o una lapide a ricordo di un fatto, un personaggio o altro abbiano a che fare con l’identità stessa della nazione, sono onorati sempre con una ordinaria manutenzione e molto spesso, con abbondanti fiori freschi in omaggio, in ogni periodo dell’anno.
Ricordo che in Inghilterra, anche le semplici panchine al parco, intitolate ognuna ad un diverso, semplicissimo e sconosciuto soldato, vengono periodicamente lucidate e onorate dalle scolaresche più giovani, che contribuendo a mantenerle dignitose e pulite, scoprono la storia del loro Paese formandosi una coscienza nazionale che questa repubblica nostra ha voluto cancellare per non dover subire l’impari confronto con l’Italia Sabauda che l’ha preceduta.

Bene quindi l’iniziativa, ma male, anzi molto male, i motivi evidenti che l’hanno ispirata !

Alberto Conterio – 13.01.2011

lunedì 10 gennaio 2011

Una patria civile per italiani e no. È questa la Nuova Italia

“Una patria civile per italiani e no. È questa la Nuova Italia”

150° dell’Unità d’Italia, intervista allo storico Giovanni De Luna
di Bruno Gravagnuolo,
7 gennaio 2011

"Il dibattito odierno sul Risorgimento è surreale e strumentale. Si nega il valore storico dell’unità italiana, mirando alla frantumazione territoriale e corporativa. Oppure c’è indifferenza, nell’assenza di una religione civile all’altezza di un paese moderno". Parla dell’oggi Giovanni De Luna, 67 anni, salernitano, storico contemporaneo a Torino, e studioso di Lega, antifascismo e Novecento di massa (Il corpo del nemico ucciso, Feltrinelli). La sua tesi suona: l’Ottocento è lontano. E l’ identità italiana va costruita su nuovi paradigmi di cittadinanza. Non più su quello classico dello «stato-popolo-nazione». Vediamo in che senso.


Professor De Luna, tra apatia istituzionale, boicottaggio della Lega e disinteresse, l’anniversario dell’Unità d’Italia non pare coinvolgere gli italiani. Come mai?
«Intanto c’è grande differenza con i precedenti anniversari. Nel 1911 ci si specchiava nello sviluppo industriale dell’era giolittiana, e nell’orgoglio dinastico dell’Italia sabauda assurta a potenza. Nel 1961 c’era il boom economico di un paese ricostruito dopo la guerra, e la fierezza di Torino divenuta metropoli.Due celebrazioni che alimentavano ottimismo e anche dibattiti storiografici molto accesi, sui limiti del Risorgimento dall’alto, etc. Stavolta, 150 anni dopo, c’è una crisi gravissima che travolge ogni possibile orgoglio. E poi c’è al governo la Lega che contesta l’Unità d’Italia in sé, una cosa senza precedenti ». Nonesiste piùunostraccio diborghesia nazionale con ambizioni europee e che tenga al «valore Italia»? «C’è stata una deriva mercantile totale del sentimento nazionale, visto al più come mero passaporto per il benessere, così come fu per i tedeschi dell’est dopo il crollo del Muro. Come se l’essere italiani fosse un logo, una tessera “spesa amica”, per accedere ai consumi. Il mercato ha strutturato e saturato ogni emozione, e se l’Italia non è una cosa che si mangia...».

Non è che nel Risorgimento non vi fosse il mercatismo, accusato anzi di travolgere il meridione...
«Certo, ma il dibattito sul Risorgimento riguarda solo uno spicchio della nostra storia. Ci sono stati il fascismo, le guerre, la prima repubblica e poi la cosiddetta seconda. Nessuno si interroga sullo straripante Novecento e ci si accapiglia sull’Unità d’Italia solo per demonizzarla, come fomite di tutti i mali successivi. Hanno inciso sul paese molto più il fascismo, peculiarità italiana, e la violenza di massa di due guerre mondiali».

Davvero il Risorgimento, censitario e classista, non anticipò nessuno dei mali a seguire?
«Sì, ma è come confrontare capre e cavoli. L’Ottocento non dice più nulla all’oggi. Salvo, ovviamente, prendere atto delle tante anime risorgimentali: neoguelfa, mazziniana, sabauda, repubblicana, monarchica. Come per la Resistenza: radicale, azionista, moderata, comunista. Discussione sacrosanta, che non revoca in dubbio il valore positivo dell’Unità d’Italia, che tutte quelle anime perseguivano e che tale resta ».

Cosa ci abbiamo guadagnato e ci guadagniamo con quel valore?
«Senza il Risorgimento saremmo restati un’espressione geografica, una congerie di staterelli tagliata fuori dalla competizione internazionale: politica, militare ed economica. Ci voleva uno stato per l’accumulazione industriale. Oggi il problema è un altro. È la religione civile che manca. E per colpa di una classe dirigente che negli ultimi venti anni non ha costruito nessuna etica civile».

Ha vinto la religione incivile del populismo privatistico?
«Appunto: tutti figli del benessere, la ricchezza come unico riferimento. Nutrito di rancore e aggressività. Competizione e maledizioni. Eccolo il fallimento. Con una eccezione: il Quirinale. Unico luogo coesivo di religione civile, con limiti e affanni. E senza partecipazione vera. In più, conun sistema politico privo di interesse al riguardo. Dall’aziendalismo di Berlusconi, all’etnicismo leghista, alla fragilità di una sinistra che ha smesso di avere un’idea di nazione, dopo aver buttato a mare il suo passato ingombrante».

Più che un vuoto, c’è stata una catastrofe identitaria?
«Crollato il patto della memoria, stabilito tramite l’antifascismo nel dopoguerra, nonè rimasto nulla. La politica non è stata capace di recintare alcuno spazio pubblico della memoria. Con l’eccezione della Presidenza della Repubblica, da Ciampi a Napolitano. Troppo poco».

Non c’è confronto con altri paesi. Ad esempio con gli Usa, che celebrano convinti il loro stato nazione...
«Negli Usa il valore della religione civile americana è persino sacrale, basta ascoltare il linguaggio di Obama».

Restando all’identità, lo storico Alberto Maria Banti ha contestato come criptorazzista la retorica risorgimentale. Basta dunque col popolo-nazione?
«Ripeto, l’Ottocento è lontanissimo e una certa eredità nazionale identitaria non è più spendibile. Lo stato- nazione è imploso, incapace di fare religione civile, e non solo in Italia. Anche Francia e Spagna non riescono più a governare unitariamente la memoria, tra querelle sul colonialismo e patti di pacificazione sul Franchismo che saltano. Occorre trovare altri valori per ricostruire un Pantheon repubblicano».

Da dove ricominciare, visto che Ciampi e Napolitano non bastano?
«Non credo alla memoria condivisa, ma una tavola di valori repubblicani universali. Purtroppo l’unico valore proposto al momento è la memoria delle vittime: della mafia, della Shoah, foibe, terrorismo, catastrofi naturali. Ma le vittime non pacificano. Gridano rancore, vendetta, sovrastandosi con la voce a vicenda. Qui il fallimento della nostra classe dirigente: l’incapacità di costruire un’alternativa».

Allora, se le cose stanno così, hanno ragione quelli che vogliono rottamare un’identità nazionale ormai inutile e invisibile?
«Inutile nella sua dimensione ottocentesca, non in quella post-novecentesca. Che deve confrontarsi con l’integrazione dei cittadini non italiani. Problema ignoto allo stato-nazione risorgimentale. Goffredo Mameli può rappresentare un valore per i cittadini extracomunitari? Semmai vanno recuperate le virtù positive di Mameli. L’eroe dolce e tollerante descritto da Garibaldi, non il guerriero nazionale».

Anche gli Usa includono nel nocciolo ideologico «wasp» il pluralismo etnico, non le pare?
«Loro hanno il giorno del Ringraziamento e la festa di San Patrizio per gli irlandesi...».

La Lega nella Provincia di Padova cancella 25 aprile e Primo Maggio, e include la Festa di San Marco.
«Cancellano le date più inclusive e fanno capire bene chi vogliono includere: la loro gente».

In conclusione, si può vivere senza un’idea d’Italia pur nell’eclisse dello stato-nazione?
«No, ma ci vuole una nuova costellazione valoriale. Lontana dalla retorica nazionale ottocentesca e dalla temperie vittimaria delle catastrofi di massa novecentesche, che hanno inciso sulla nostra identità ben più degli anni risorgimentali. E in tal senso, penso alla virtù civile della “mitezza”, come la evocava l’ultimo Bobbio. Significa essere contro prepotenza e arroganza e per l’inclusione fraterna. Esempi? Tanti: Colorni, Willy Jervis, Pietro Chiodi, laici o valdesi, gente perseguitata ma non vittimista. Patrioti repubblicani e italiani davvero diversi».

Tratto da : “l’Unità” del 7 gennaio 2010


Approfondimenti

Risorgimento e lotta fra storici: quello che oggi c’è da leggere
La bibliografia sul Risorgimento è ovviamente sterminata. Ma molto schematicamente due sono state le interpretazioni chiave che si sono contese il campo. Quella liberale e quella marxista. La prima è incentrata sulla necessità e sulla virtù intrinseca del Risorgimento moderato e «dall’alto», inseparabile dal genio di Cavour e dalla volontà sabauda di procedere all’unificazione: usando la spinta democratica. La seconda, gramsciana soprattutto, è tesa a denunciare il «Risorgimento senza popolo» e senza riforma agraria, e il suo carattere «passivo» e indotto. Quanto alla prima segnaliamo il Cavour di Rosario Romeo (Laterza) e sempre di Romeo Risorgimento e Capitalismo (Laterza, 1961). Di Gramsci e su Gramsci, che svolge la sua riflessione nei Quaderni del carcere, si veda in chiave antologica L’essenziale di Antonio Gramsci. Il Risorgimento e l’unità di Italia (intr. di C. Donzelli, Donzelli, pp . 203, 2010, Euro 9,50). Tra i volumi più originali, di taglio «neorevisionista» ma non certo «negazionista », Lucy Riall (storica irlandese), Il Risorgimento. Storia e interpretazioni (Donzelli, pp. 137, 1997). Che dà rilievo alla non ineluttabilità del processo unitario, al brigantaggio e agli squilibri territoriali dei vecchi stati peninsulari. In una luce antiretorica e decostruttiva, due libri recenti, a cura e di Alberto Maria Banti: Nel nome dell’Italia. Il Risorgimento nelle testimonianze, nei documenti e nelle immagini. Laterza, pp. 424, 2010, Euro 24) e Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al Fascismo (Laterza, pp. 208, Euro 18, 2010). Sulla storia antecedente il Risorgimento, antica o più a ridosso, due libri importanti: Storia degli antichi stati italiani (Laterza, pp. 278, 1996), a cura di G. Greco e M. Rosa; Francesco Bruni, Italia. Vita e avventure di un’idea (Il Mulino, pp.550, Euro 35, 2010), fondamentale per la genesi e la trasmissione nei secoli dell’autopercezione nazionale. Dai primi abitanti della penisola alla fine dell’Antico regime. Su traumi e fratture dell’identità nazionale si veda infine Emilio Gentile, Né stato né nazione. Italiani senza meta (Laterza,pp. 112, Euro 9, 2010).

domenica 9 gennaio 2011

La Patria in sette note

La Patria in sette note
«I 150 anni d’Italia ? Più che la politica li ha fatti la musica»

di Pierachille Dolfini
7 gennaio 2011

«Fatta l’Italia dobbiamo fare gli italiani» si disse nel lon­tano 1861. E quella frase storica, in questo 2011 che celebra il centocinquantesimo dell’Unità d’Ita­lia, la sentiremo ripetere molte volte. Ma con cosa si «possono fare gli ita­liani»?


Il musicologo Paolo Prato una tesi ce l’ha: «Con la musica». E spiega perché Giuseppe Verdi e Laura Pausi­ni, l’autore de La donna è mobile e la cantante de La solitudine, «hanno aiu­tato lombardi e siciliani a sentirsi un unico popolo attraverso una forma comune di espressione e comunicazione come la musica, capace di farsi ar­te e al tempo stesso stru­mento di riscatto sociale». Prato lo racconta nelle quasi cinquecento pagine di La musica italiana. Una storia sociale dall’Unità a oggi, volume edito da Don­zelli (euro 33). Parte dal Va’ pensiero e arriva sino a X Factor per dire che «prima ancora che nell’impresa di Garibaldi gli italiani hanno trovato un comune denominatore nella cantabilità della musica italiana, presente in Verdi ma anche nella canzone del Novecento. Una cantabilità che è diventata il no­stro marchio di fabbrica. Che tutto il mondo ci riconosce ascoltando le me­lodie di Puccini o la voce di Andrea Bocelli». Il suo è un lungo viaggio «per rilegge­re in chiave sociale la storia d’Italia, dove la musica ha sempre interagito con l’economia e la politica».

Prato, docente alla Pontificia università Gre­goriana di Roma, già direttore di Ra­dio InBlu e autore di programmi di Tv2000, è convinto che «gli italiani si sono sempre raccolti intorno a pro­getti con al centro la musica: nell’Ot­tocento era il melodramma oggi i ta­lent show o eventi come il Festival di Sanremo che resta tra i primi cinque programmi televisivi più seguiti. E che quest’anno vedrà Al Bano cantare pro­prio il Va’ pensiero nella serata per i 150 anni dell’Unità d’Italia». E proprio il coro di Verdi e ’O sole mio sono sta­ti preferiti alle più 'politiche' Bella ciao e Giovinezza. «Segno che ancora una volta la musica divide, rivelando chiaramente la natura profonda del­la musica, per nulla innocente».

Oggi la tv, ieri la radio e il grammofo­no. Ai tempi di Garibaldi Nabucco, con il passare degli anni le Mille bolle blu di Mina e Il ragazzo della via Gluck di Celentano, le Emozioni di Lucio Bat­tisti e il Viva l’Italia di De Gregori. Perché in 150 anni molte cose sono cambiate, anche nella musica. «Nel tempo – spiega Prato –, esaurita la for­tunata stagione di Verdi e Puccini, si è creata una distanza tra la musica 'col­ta' e il pubblico, in particolare quando si è deciso di spingere sul pe­dale della sperimentazione. Uno scol­lamento che resiste e che viene col­mato dalla canzone o solo da alcuni artisti particolari». Ma anche da forme d’arte come il can­to sociale che «ha aiutato i vari movi­menti contadini e operai a farsi forza, a trovare uno spirito unitario» rac­conta Prato che rintraccia anche ne­gli inni liturgici un percorso di co­struzione della nostra identità. «Pen­so alla musica di Lorenzo Perosi, ai canti del dopo Concilio scritti in ita­liano e alla cosiddetta Messa beat, che hanno raccolto quelle istanze di maggior comunicabilità della fede già presenti nel po­polo».

A 'fare gli italiani' dunque è stata la musica 'più della po­litica'. Possibile? «Sì, perché l’arte delle note aiuta a capire alcuni meccanismi della vita sociale, ad esempio le istanze degli ultimi, delle quali la po­litica sembra disinteressarsi». Un ruolo che non è esaurito, allora. «Oggi la musica è dappertutto. Diffu­sa dagli altoparlanti o confinata nel­l’iPod. Ma il rischio è che resti solo un passatempo, facendo da sottofondo alla vita senza aiutare l’uomo a rifor­mulare le grandi domande sull’esi­stenza. Perché ciò avvenga serve, però, che la musica sia presa sul serio, non solo consumata, ma capita a fondo nei suoi meccanismi. E per fare que­sto occorre che non sia ai margini del nostro sistema formativo, come acca­de purtroppo oggi in Italia».

Tratto da : www.avvenire.it/

sabato 8 gennaio 2011

Italia 150 via alla festa schizofrenica

Italia 150 via alla festa schizofrenica

di Massimo Gramellini
7 gennaio 2011

Nel sovrano disinteresse del popolo sovrano e della maggioranza più che assoluta dei suoi rappresentanti, comincia stamattina la sarabanda delle celebrazioni per i 150 anni dell’Italia Unita. Comincia a Reggio Emilia, con l’omaggio al Tricolore da parte del Presidente della Repubblica: uno dei pochi a crederci davvero, e non solo per dovere d’ufficio. 


Dopo il rito della bandiera (che di anni ne ha oltre duecento) arriveranno le ricorrenze vere. Le prime elezioni nazionali del 27 gennaio 1861, riservate a una minoranza di maschi abbienti, alfabetizzati e mangiapreti (la Chiesa aveva proibito le urne ai cattolici): il più votato risultò Cavour con 620 voti. L’assedio di Gaeta con cui il 13 febbraio si archiviò a suon di bombe la resistenza dei Borboni, appena in tempo per non sciupare la seduta delle Camere riunite nel cortile torinese di Palazzo Carignano, quando il Capo dello Stato, che allora era il Re, rivolse ai parlamentari la prima di una lunga e mai terminata serie di prediche inutili: «Signori deputati! Signori senatori! L’Italia confida nella virtù e nella sapienza vostra!». Fino a quel 17 marzo, una domenica, in cui i pochi italiani che sapevano leggere appresero dalla Gazzetta Ufficiale che il Parlamento aveva proclamato il Regno d’Italia con il voto contrario di due soli senatori, dei quali taceremo i nomi per non togliere a Bossi il piacere di scoprirli e di andare a deporre sulle loro tombe una decalcomania del Sole delle Alpi. Qualche malizioso potrebbe chiedere di protrarre il gioco delle ricorrenze al 18 aprile 1861, 150° anniversario della prima rissa parlamentare, e mica fra cicchitti e bocchini: fra Garibaldi e Cavour, che sarebbe poi morto quattro mesi dopo, lasciando l’Italia più o meno dove sta adesso: nei pasticci.

Ci attende un anno di inni, parate, discorsi e baruffe sulla Patria, ma nessuno può dire se alla fine del 2011 gli italiani si innamoreranno di lei o se ne saranno definitivamente nauseati. Probabilmente continueranno a trattarla come ora, con amore comparativo: parlandone bene solo quando sono all’estero. L’italiano non considera l’Italia la sua Patria, così come - sia chiaro - non considererebbe Patria la Padania, la Borbonia o qualsiasi altra comunità più vasta della sua famiglia, del suo quartiere o, forse, della sua città che gli chiedesse di emettere fattura fiscale. Per un italiano ciò che appartiene a tutti, per il semplice fatto di non appartenere soltanto a lui, non appartiene a nessuno. Ci sono voluti quattordici secoli, dalla fine dell’Impero Romano all’Unità, per cucirci addosso questo atteggiamento mentale. Ne mancano quindi ancora dodici e mezzo per rimetterci in pari.

Ma non è onesto affermare che rispetto al Centenario del 1961 lo spirito di Patria si sia affievolito. Il divario fra settentrionali e meridionali era molto più aspro cinquant’anni fa, e si manifestava nelle forme di una diffidenza razzista che non di rado trascendeva nell’ostilità. La differenza è che allora non c’erano, né a Nord né a Sud, partiti di massa disposti a cavalcarla. Ciò che l’emigrazione, i matrimoni e la tv hanno unito in questi decenni è stato in parte disfatto dalla politica, che ha sistematicamente eroso i simboli dell’unità nazionale, dalla Costituzione ai miti fondativi (esagerati ma autentici, come tutti i miti) del Risorgimento e della Resistenza. Come nel mondo capovolto di Alice, la Patria ha cessato di essere una parola di destra e si è spostata verso il centro, se non proprio a sinistra. Ma chiunque, a destra e a sinistra, intenda oggi fondare un partito, sostituisce le ideologie con le microappartenenze territoriali e vede quindi nella Patria tutta intera un inciampo. Sono i politici, non i cittadini, ad aver rimosso la ricorrenza del 2011. Infatti, nel dibattito «elezioni a marzo sì-elezioni a marzo no» che li appassiona da mesi, nessuno dei leader ha neanche minimamente pensato che sovrapporre i veleni di una campagna elettorale alle celebrazioni del Centocinquantenario sarebbe come invitare una banda di bulli muniti di pennello e vernice alla festa di compleanno della scuola. Nordisti e sudisti che insultano l’Italia sulle piazze d’Italia, mentre il Capo dello Stato scopre targhe commemorative e omaggia bandiere risorgimentali: fra le tante schizofrenie di questo beneamato Paese, che almeno questa ci venga risparmiata.

Tratto da : www.lastampa.it/