Finalità di questo Blog

Lo scopo di questo Blog "150° Unità d'Italia" è quello di raccogliere tutte le informazioni relative all'evento, e denunciare il tentativo di strumentalizzare la Storia ai fini anti italiani, così come denunciare l'impegno Istituzionale nel far passare questo importante traguardo il più inosservato possibile.

giovedì 24 marzo 2011

San Severo : la monarchia il tema centrale !

San Severo, ancora un incontro sull’Unità d’Italia

Lunedì 21 Marzo

SAN SEVERO – Sarà la monarchia il tema centrale dell’incontro fissato per giovedì 24 marzo alle 18 presso la sala “Nino Casiglio” della Biblioteca comunale “Alessandro Minuziano”, che si svolgerà nell’ambito delle iniziative volute dal comune per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Si intitolerà “Il ruolo della monarchia nel Risorgimento Italiano” e a presentarla sarà Raffaele Colapietra, dell'Università degli Studi di Salerno. 


L’organizzazione della conferenza è stata curata dal Centro di Ricerca e Documentazione per la Storia della Capitanata, di cui è presidente Giuseppe Clemente. Tutta la fase operativa per la realizzazione della composita iniziativa è curata dai dipendenti in servizio presso la Biblioteca Minuziano, dagli operatori del Consorzio LIBERO e dalle due funzionarie regionali provenienti dal “CRSEC” di San Severo. La Responsabile del procedimento operativo e amministrativo che sovrintende alle varie iniziative è la Direttrice della “Minuziano” Concetta Grimaldi con la Dirigente di Settore, Enza Cicerale.

Tratto da : Daunianews.it

venerdì 18 marzo 2011

Celebrazioni 150° - I valori assenti

Celebrazioni 150° - I valori assenti

18 Marzo 2011
di Arturo Diaconale

Ma quale Italia unita abbiamo celebrato nella giornata del 17 marzo? E’ bene non sfuggire a questo interrogativo. Per fare in modo di dare un senso concreto e comprensibile a celebrazioni che altrimenti sono destinate a risuonare inesorabilmente come falsa e vuota retorica. La risposta si ottiene per esclusione.
Non abbiamo celebrato l’Italia di Vittorio Emanuele II. A dispetto del fatto che il 17 marzo 1861 il Parlamento di Torino non proclama l’unità ma l’assunzione al trono dell’Italia unita del monarca sabaudo, le celebrazioni sono state contrassegnate dalla rimozione di un personaggio dal ruolo determinante nelle vicende del Risorgimento.


Tutti hanno dimenticato che il “re galantuomo” guadagnò questo titolo perché nel 1849 ebbe la forza e l’intuito di non seguire l’esempio degli altri regnanti italiani e di non cancellare lo Statuto promulgato dal padre Carlo Alberto sull’onda delle rivolte scoppiate nella penisola per sollecitare l’indipendenza nazionale ed una Costituzione liberale.
Se Vittorio Emanuele avesse piegato la testa di fronte alle richieste del maresciallo Radetzky e si fosse comportato come Pio IX o Ferdinando di Borbone rinunciando a legare il futuro di Casa Savoia al sogno dell’Unità nazionale, il Risorgimento avrebbe assunto una piega completamente diversa.
Forse migliore, di sicuro meno rapida e più densa di sacrifici. Ma se l’Italia oggi festeggia i suoi 150 anni lo deve anche a Vittorio Emanuele II. Che però, probabilmente a causa di una discendenza di cui non porta certo la responsabilità, non ha figurato nelle celebrazioni.
A consolazione del “re galantuomo” va rilevato che non è stato il solo ad essere stato rimosso. Una sorta analoga è toccata anche a Camillo Benso di Cavour, a Giuseppe Garibaldi ed a Giuseppe Mazzini. Nelle celebrazioni ufficiali i tre “Padri della Patria” hanno avuto collocazioni del tutto marginali tese ad evidenziare più gli aspetti pittoreschi o semplicemente oleografici dei tre personaggi che il significato politico e morale delle loro azioni.
Ma l’Italia illiberale avrebbe mai potuto riconoscere che il capolavoro di Cavour non fu soltanto diplomatico ma fu il frutto di una solida e profonda fede nei valori liberali? E l’Italia che vive nel ricordo e nella esaltazione della guerra civile avrebbe mai potuto riconoscere che il più grande merito di Giuseppe Garibaldi fu di aver resistito alla fortissima tentazione, dopo la conquista del regno delle due Sicilie, di scatenare la guerra civile contro la monarchia sabauda in nome di una repubblica che avrebbe avuto il marchio del suo nome? Ed, infine, l’Italia che non accetta il principio di responsabilità, che sfugge agli obblighi che le vengono dalla sua storia e la sua collocazione geografica, che non ha il senso del proprio passato e quindi l’incapacità di fondare su di esso la speranza del futuro, avrebbe mai potuto dare il giusto risalto a Giuseppe Mazzini, cioè all’uomo che più di ogni altro ha ricordato agli italiani che senza la consapevolezza dei propri doveri si è destinati ad essere dominati, sfruttati ed umiliati?
L’assenza sostanziale di queste quattro figure, o la loro assoluta marginalizzazione, non stupisce.
Vittorio Emanuele II, Camillo Benso di Cavour, Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini rappresentano valori e principi che la cultura ancora dominante dell’Italia attuale non conosce o, peggio, continua ostinatamente a negare.
Non ci si deve stupire, allora, le celebrazioni sono apparse retoriche e poco sentite.
Non si è trattato di una dimostrazione di scarso patriottismo o di secessionismo latente. Niente affatto. Perché mai come in questo periodo la stragrande maggioranza degli italiani è consapevole ed orgogliosa della propria identità. Si è trattato di un ammonimento a chi ha pensato di celebrare l’unità d’Italia senza i valori di libertà, di umanità e di responsabilità da cui è nata.

Tratto da : L’Opinione.it

mercoledì 16 marzo 2011

Benigni a San Remo 2011 e L'Unità D'Italia

150 anni Unità d’Italia: Benigni insegna l’Inno di Mameli

Vi proponiamo il video dell’intervento di Roberto Benigni a Sanremo 2011 dedicato all’Inno di Mameli o “Fratelli d’Italia”.
Occorre riconoscere che Benigni in esso, riesce - a suo modo - a trasmetterci l’orgoglio di essere o sentirsi italiani, con esempi validi e di indiscusso valore storico.

L’Inno di Mameli, o “Fratelli d’Italia” che spesso ci ritroviamo a cantare in occasione di qualche evento sportivo, ma di cui la maggior parte degli italiani non conosce il testo o tutte le strofe e, di cui si ignora anche il significato simbolico viene ben descritto dal comico con il suo solito fare esagerato si, ma anche ricercato in questa occasione.
Una bella lezione di Storia d’Italia – anche se incompleta e molto “politicamente corretta” – raccontata con umorismo, ma anche serietà, da un artista di fama internazionale.

Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, in onore di Carlo Alberto di Savoia, Principe italiano su cui, la maggior parte dei patrioti e cospiratori allora guardava con simpatia e speranza, nacque in un clima di fervore che già preludeva alla guerra contro l'Austria.
L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.

Dal 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenne l'inno nazionale provvisorio di questa repubblica, che in oltre 65 anni di potere scandali e corruzione, non è ancora stata in grado di renderlo ufficialmente “definitivo”


Il video 



Testo di Goffredo Mameli, musica di Michele Novaro

Il testo :

Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta,
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.

Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.         

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.

Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l'Unione, e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?

Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.         

Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.

Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.         

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.

Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

lunedì 14 marzo 2011

«Regno fm», emittente neoborbonica

Barra, Bennato e mail anti-Savoia
La sfida (on air) a Radio Padania
Guaglione: ecco «Regno fm», emittente neoborbonica

di Alba Di Palo
14 marzo 2011

«Tu piemontese, ’nu miezo francese, stive ’nguaiato fra diebete e spese. Sì addeventato grand’ ommo e sovrano cu ’e sorde d’ ’e banche napulitane». È la strofa di «Malaunità», canzone napoletana e battagliera. È la rabbia urlata contro i violenti invasori del Meridione: i Savoia. A pochi giorni dal 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia è sufficiente un clic per incontrare questa ribellione a scoppio ritardato. Basta connettersi al sito www.regno.fm, una webradio che inneggia al Regno delle due Sicilie, ai Borbone e alla cultura di un Sud glorioso, vittima sacrificale del patriottismo sabaudo. La webradio trasmette on line — da qualche settimana — canzoni e informazioni rigorosamente borboniche. «Diffondiamo notizie che i libri di storia, di regime, hanno finora sottaciuto. Come giornalista ed editore ho sentito il bisogno morale di dare voce a vicende rinnegate», dice Paolo Guaglione ideatore della «radio del bel Reame», com’è scritto sull’homepage. Papà di due bambine, 45 anni, di Barletta, città da cui si irradiano via web le news anti-risorgimentali, Guaglione si definisce borbonico e orgoglioso dei trecento contatti giornalieri della radio. «Arrivano tantissime mail piene di complimenti», commenta mentre sulla scrivania zeppa di libri, fogli, penne e telefonini, cerca i dati di ascolto.

«Ci seguono anche dall’estero: New York, Parigi e persino dall’Australia». Il palinsesto della webradio è strutturato in base al genere musicale in programmazione: si va dalla musica napoletana antica, ai testi di Concetta Barra ed Eugenio Bennato. A fare da intermezzo, piccoli spazi informativi legati alla storia del regno di Napoli, sfregiato e distrutto dall’arrivo dell’esercito sabaudo. Tutte le notizie sono precedute da una voce femminile che, con tono dolce, tuona: «A scuola non mi hanno fatto sapere che...». «Certo — dichiara Guaglione — a scuola tante cose non sono state insegnate mentre Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele, tre massoni, sono stati presentati come eroi che hanno liberato il Sud dalla tenaglia borbonica. Non è andata così. A Napoli si viveva bene, nessuno andava via. E dal Nord scendevano al Sud per lavorare e stare meglio». Al contrario di come avviene adesso. Guaglione è il solo a occuparsi della webradio che presto però, avrà una redazione. Perché oltre a Internet e alla radio è previsto un progetto editoriale più ampio che coinvolgerà anche la televisione «per restituire dignità a un popolo privato della memoria», rincara l’editore mentre mostra il suo iPad su cui c’è l’immagine «della mia patria vista dall’alto»: è l’Italia meridionale fotografata dal satellite, il resto della Penisola non c’è. Ed è un po’ un controsenso per lui che edita anche un canale satellitare che, ironia della sorte, si chiama W l’Italia channel.

«La mia patria è questa», insiste mostrando l’iPad e continua: «È così non solo per me. All’estero quando si dice di essere italiani, gli stranieri sorridono e dicono pizza, sole, mare e mandolino, mai Tarvisio o la polenta. E questo conferma che l’Italia siamo noi, il Sud», ribadisce Guaglione. In ufficio ha persino la macchina per il caffè Borbone. «È stata una piacevole sorpresa», ammette. Qualcosa però non torna: se i Borbone avevano creato un regime con un welfare efficacissimo, se il popolo stava bene, perché i soldati reali non difesero il loro regno? «Perché le guardie furono corrotte dai Savoia e da soli i contadini che divennero briganti non riuscirono a frenare l’incursione», spiega Guaglione. «I Savoia rubarono ben 432 milioni di vecchie lire dal banco di Napoli». Beh, ma dopo l’unificazione del Paese quei soldi erano del re d’Italia.

«No — ribatte — quei soldi non furono usati per far crescere il Paese ma solo per rimpinguare le casse piemontesi, in rosso da tempo». La visione della storia italiana qui, nella sede della webradio alla periferia della città della disfida franco-italiana, ha il sapore di un romanzo tragico dove le vite dei contadini si intrecciano alla crudeltà dell’esercito sabaudo che «rase al suolo paesi come Pontelandolfo e Casalduni non prima di aver stuprato donne e ucciso bambini», racconta Guaglione. E allora il 17 marzo come lo trascorrerà? «Isserò una bandiera a lutto», dice. La chiusura però è repubblicana: «La mia festa patriottica è quella del 2 giugno. Quella e basta».

Tratto da : Corriere del Mezzogiorno

Nota del Web Master : 

L'Articolo termina con queste parole : «Isserò una bandiera a lutto», dice. La chiusura però è repubblicana: «La mia festa patriottica è quella del 2 giugno. Quella e basta». ...ecco appunto, giusto un repubblicano !

sabato 5 marzo 2011

Intervista al Principe Vittorio Emanuele

“I valori risorgimentali alla base dello Stato”

Intervista al Principe Vittorio Emanuele
a cura di Vettor Maria Corsetti

È il simbolo di una storia comune che parte del Paese non conosce più o vorrebbe addirittura
cancellare: per distrazione, per calcolo politico o per portare indietro le lancette
dell’orologio e tornare a una Italia delle piccole patrie più indifesa e
manipolabile dai potentati internazionali. Vittorio Emanuele di Savoia è il grande escluso dalle
manifestazioni ufficiali per il 150°. E con lui la sua Casa, che per il compimento dell’unità
nazionale si è spesa in prima persona e senza la quale lo stesso Risorgimento sarebbe stato
impensabile. Salvo per quanti, ai giorni nostri, quei fatti li interpretano e si ostinano a riproporli
solo in un’ottica repubblicana, intesa come una nuova forma di pensiero unico.
Alla vigilia della festa del 17 marzo, abbiamo chiesto al principe il suo parere sulla ricorrenza
e sul suo significato più profondo, sposando queste riflessioni con altre sullo stato generale
del Paese.


Altezza reale, per preparazione, contenuti e diversità di vedute sull’opportunità di viverle come una grande festa nazionale, le celebrazioni del 150° anniversario della proclamazione dello Stato unitario sembrano animate da uno spirito assai lontano da quelle del centenario. A mancare è non solo la condivisione di valori, ma anche la percezione del significato più profondo della ricorrenza, a cominciare da certi rami delle istituzioni. Qual è il suo pensiero in proposito?

“L’Italia d’oggi vive una profonda crisi politica e istituzionale che si riflette, o che riflette, un’altrettanto profonda e pericolosa crisi sociale. È un’Italia profondamente diversa da quella del 1961, la cui società politica e civile era in gran parte formata da persone cresciute secondo le antiche tradizioni italiane. In cui al centro vi era ancora la famiglia, il rispetto per le istituzioni,
l’amor di Patria. Tutti aspetti che ora come ora non fanno più parte dell’ideale dell’italiano
medio. È un’occasione mancata. La classe politica ancora una volta si è rivelata litigiosa, faziosa, priva di acume e di una visione prospettica. Tutta presa a utilizzare ogni cosa come strumento di scontro politico.
Spiace, addolora, notare come una festa bellissima come quella che celebra la nascita della nostra Italia come nazione venga calpestata in modo così poco intelligente”.

Dagli industriali che una festa non la vogliono perché implicherebbe la perdita di un giorno lavorativo a forze politiche che il Risorgimento lo vorrebbero mettere in discussione dall’inizio alla fine, le voci in contrasto con la nostra storia si fanno sempre più preoccupanti e numerose. Come invertire questa tendenza?

“Si tratta di un problema culturale. In questi ultimi sessant’anni è mancata completamente una guida, un punto di riferimento che potesse non solo rappresentare, ma stimolare il senso della Patria, la cultura, l’essere italiani. Non mi stupisco ma sorrido nel pensare alla posizione di Confindustria, che teme di perdere un giorno di lavoro. Mi indigno nel vedere le posizioni di molta classe politica avverse alle celebrazioni e al Risorgimento. Esiste un modo per invertire la tendenza?
Non lo so, ma ringrazio quanti si sono battuti per ottenere che il 17 marzo fosse dichiarata festa nazionale. In modo particolare il ministro Ignazio La Russa, che è una delle voci più autorevoli
pro celebrazioni. Credo che i grandi quotidiani d’Italia dovrebbero preparare una pubblicazione speciale e onesta da far uscire il 17 marzo. Forse servirebbe a tutti per imparare da dove proveniamo e chi si è battuto per la nostra Patria”.

Da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele II, Casa Savoia il Risorgimento l’ha reso possibile.
E lo stesso vale per il conte di Cavour, uno statista la cui grandezza è riconosciuta più all’estero che all’interno dei confini nazionali. Tuttavia, salvo qualche nobile eccezione, il loro ruolo sembra sminuito, a vantaggio di una ricostruzione dei fatti in chiave esclusivamente repubblicana. Lei di
Casa Savoia è il capo, e non è nemmeno stato invitato a far parte del comitato d’onore delle
celebrazioni. Come interpreta questa esclusione?
E da discendente diretto del primo re d’Italia, come la sta vivendo?
“Non mi stupisce. È l’ennesima dimostrazione della mediocrità del sistema. Insomma, in qualsiasi stato repubblicano la casa reale di quello stato viene coinvolta a pieno titolo nelle manifestazioni ufficiali. Addirittura nei paesi ex sovietici guardi i tributi che sono riservati ai discendenti dei loro sovrani. In Russia hanno addirittura ripristinato i simboli della Casa imperiale nella bandiera nazionale. All’estero hanno capito che i simboli servono a tenere uniti e l’unione fa la forza. In
Italia Casa Savoia è senza dubbio ancor oggi un simbolo riconosciuto dalla maggioranza degli italiani: chi pro, chi contro, ma è riconosciuto.
Bene, hanno timore di questo simbolo? Forse sì, e questo spiegherebbe i si stematici attacchi
che subiamo per distruggere la nostra immagine. Ad ogni modo io sarò presente al Pantheon, il 17 marzo, per rendere omaggio al mio augusto avo re Vittorio Emanuele II.
È un mio dovere, ma anche un mio privilegio. Inoltre, Casa reale sta organizzando con l’Unione Sabauda una serie di eventi in tutto il territorio nazionale, tra cui il Ballo della Real Casa a Roma il 15 giugno prossimo”.

Per molti la tumulazione in forma solenne al Pantheon dei re e delle regine che ancora riposano in terra straniera costituisce non solo un atto dovuto, ma un’occasione per il nostro Paese di riflettere più serenamente sulla propria storia. Per altri, invece, è motivo per rinfocolare polemiche vecchie e nuove, spesso in modo becero o palesemente strumentale. Al di là dell’aspetto umano connesso
al dare una più consona sepoltura agli unici esiliati rimasti, con quali motivazioni cercherebbe di convincere i refrattari?

“Credo che la sepoltura al Pantheon di Roma dei re e delle regine d’Italia sepolti all’estero sarebbe un segno di riconciliazione e di rispetto verso la storia patria. Non si tratta di una cerimonia monarchica, si tratta di una cerimonia dello Stato verso due capi di stato e le loro consorti. Anche in Russia la famiglia imperiale e lo zar Nicola II hanno ricevuto sepoltura solenne e funerali di stato. Pensi, uno stato ex sovietico che ha trucidato le stesse persone a cui poi tributa i massimi onori per la sepoltura… E la stessa cosa è accaduta in altre nazioni. Direi che sarebbe un segno di rispetto
dello Stato verso la sua stessa storia. Un paese che non rispetta la propria storia non potrà mai avere un futuro”.

L’Italia si appresta a celebrare i suoi 150 di vita come Stato unitario nel pieno di una crisi non solo economica, ma anche politico istituzionale. Qual è il suo pensiero in proposito?
E come uscire da una situazione pesantissima che rischia di sfasciare quanto è stato costruito con tanti sacrifici personali e collettivi?

“Condivido il suo pensiero, ma non mi pare vi siano soluzioni immediate. Credo si tratti di un lungo percorso culturale, che dovrebbe rovesciare l’attuale rotta presa dall’Italia. Una rotta che ci porta a essere lo zimbello del mondo intero. Sarebbe necessaria una riforma profondissima, in grado di
coinvolgere tutte le istituzioni e i partiti. Vede, nel 1946 non hanno avuto alcuna remora a fare tabula rasa per costruire questa repubblica. Bisognerebbe avere il coraggio di fare una nuova tabula rasa per costruire l’Italia di domani, un’Italia in cui i valori del Risorgimento tornino a essere alla base dello Stato. Dove la famiglia, l’amor di Patria, il rispetto e la fratellanza siano il fulcro della nostra Patria”.

Tratto da : Movimento Monarchico Italiano - Numero Unico di Marzo 2011